Agosto 2018, Vulcano Ijen, Indonesia
È una notte come tante, una notte d’estate, una calda notte di agosto. Rientrati nella nostra HomeStay Banyu a Banyuwangi, piccolo villaggio tra foreste e oceano situato a Java orientale, abbiamo solo pochi minuti per cambiarci. Felpe, pantaloni e scarpe da trekking, sciarpe, torce, cappelli e zaini in spalla. Si parte.
Assonnati, nel cuore della notte, diamo inizio alla nostra nuova avventura: la scalata del vulcano Ijen.
La breve ma intensa tempesta di qualche ora prima è passata. E con questa, anche ogni esitazione sulla possibilità di fare la nostra escursione, a causa del rischio fango e terreno scivoloso.
Trenta o quaranta minuti in bus per risalire almeno la base del vulcano, tra foreste e piccoli villaggi quasi dimenticati, ed eccoci presto al nostro starting point. Alcune raccomandazioni fondamentali della nostra guida, poi, torce in fronte, maschere anti-gas allacciate alle cinture e via, su per il sentiero.
Nel silenzio e nel buio della notte, su questo vulcano, il cielo è incredibilmente stellato. Ai lati della strada ripida e buia, le lucciole accompagnano i nostri passi pesanti.
“Just 3 kilometers to the top and 800 meters down to the lake in the crater” ci rassicura la nostra guida, abituato a risalire quel percorso da sempre. Ma già dai primissimi passi ci rendiamo conto che la salita è molto più ripida di quanto ci aspettassimo.
Per chi è già stanco di camminare, ecco subito la (triste) “soluzione” per arrivare in cima: piccole carriole trainate da “uomini taxi”. I cosiddetti “trolley-taxi”. In silenzio, continuo la mia salita, avvolta da un turbine di sentimenti, tra stupore e incredulità. Nel buio e nella fatica ogni riflessione è più immediata. Invade la mente, irrompendo con violenza. E non va via.
Come spiegare ad un “uomo-taxi” che siamo lì, nella loro quotidiana fatica, per puro”piacere”? Il loro devastante lavoro è la nostra spensierata “vacanza”…
Kawah Ijen, tra fiamme fatue e minatori di zolfo
Un percorso di tre ore con qualche breve tappa per riprendere fiato mentre non smetto di guardarmi intorno e abbandonarmi ai miei pensieri.
L’arrivo in cima al vulcano è in realtà solo l’inizio della fatica vera e propria. Davanti a noi, nel buio, la voragine del cratere.
“Scendiamo da qui” dice la nostra guida, indicandoci la strada: un sentiero ripido e stretto tra le rocce, totalmente dissestato. Al lato, il dirupo.
Nessuna raccomandazione particolare, ad eccezione di una: “nei passaggi stretti, i minatori che risalgono dal cratere hanno la precedenza…”
Uno spesso strato di fumo copre il cielo sopra Kawah Ijen. La discesa si rivela piuttosto impegnativa e lunga. Si rischia di scivolare facilmente tra le rocce e il sentiero scosceso e il buio della notte rendono tutto ancora più difficile. Un’ora circa di percorso ed eccoci finalmente in basso, nel cuore del cratere, a pochi metri di distanza dal lago di acido solforico.
Il Vulcano Ijen ospita una delle ultime miniere di zolfo ancora attive al mondo. Così, alla base del cratere, quando l’acido solforico entra in contatto con l’aria, crea un fenomeno chimico e naturale unico: i fuochi fatui, fiamme blu-viola, visibili solo di notte. Uno spettacolo incredibile ma pericoloso. A rendere tutto ancora più pericoloso sono i gas tossici sprigionati dal cratere. Anche con le maschere anti-gas, si fa fatica a respirare. Nonostante questo, la nostra guida insiste per potersi avvicinare alle fiamme nel cuore del cratere per filmare in tempo reale con uno dei nostri cellulari questo strano fenomeno:
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All’alba, dalla cima del cratere, la nebbia si dirada e lascia spazio al verde acqua del Kawah Ijen, il lago acido più grande al mondo. Un mix letale, su una tavolozza di colori in grado di lasciare letteralmente senza fiato.

A pochi passi da noi, ovunque, su e giù per il percorso, decine e decine di minatori. Tra buio, fiamme, acidi e fatica, la loro vita scorre qui. Lentamente e silenziosamente.
Si avventurano in questo labirinto di nuvole di gas e bollenti fumarole per estrarre “l’oro del diavolo” e trasportarlo giù per la montagna. Risalgono per il faticoso sentiero fino in cima lungo i 2700 metri, per poi scendere fino al cuore del cratere, due volte al giorno. Ogni giorno. Trasportano ad ogni viaggio tra 60 e 80 kg di zolfo.L’estrazione e la vendita di zolfo è per loro l’unica possibilità di guadagnarsi da vivere: l’equivalente di 6 centesimi di euro per ogni Kg di zolfo venduto. SEI centesimi di euro.
Un loro detto recita “Rischiare di morire, per paura di morire di fame“.
Vivono su questo vulcano da sempre, da quando erano solo dei bambini. Nessuna maschera anti-gas per loro: solo qualche stoffa imbevuta sul viso. Le “divinità del Vulcano” li proteggono. Mbah Ijen, lo spirito del lago veglia su di loro e sui visitatori. O almeno così vogliono credere…
Nei loro occhi la stanchezza di chi ripete ogni giorno gli stessi drammatici percorsi, una vita per noi così incomprensibile. Sul loro viso, in qualche casuale e istantaneo incrocio di sguardi, un accenno di sorriso.
Un sorriso che per me si carica di significato, regalandomi una tempesta di emozioni. Un sorriso diverso da tutti gli altri. Il sorriso di chi, comunque sia, nonostante tutto, sa sorridere alla Vita.
Un sorriso nel buio, nella povertà e nella fatica, che simbolicamente voglio ricordare così:

* DEDICATO A TUTTI I MINATORI ANONIMI DEL VULCANO IJEN *
VIDEO: La storia di Arifim, il minatore che dorme nel cratere da 26 anni: